Nella nostra società, che Colamedici e Gancitano definiscono società delle performance, l’imperativo di tutti è ormai diventare leader.
La leadership, però, a mio parere, ha perso il suo significato reale, per diventare sinonimo di “capo” o “star”: concetti sterili, ormai datati, di un mondo che vede solo gerarchia e competizione (che sappiamo non funzionare).
Esiste una leadership virtuosa, che genera impatto positivo, è contagiosa e può produrre un cambiamento reale, ma è necessario:
- Avere una vision, credere fortemente in qualcosa
E’ la tua capacità di vedere qualcosa che ancora non c’è, più lontano di altri, che ti fa diventare punto di riferimento. - Rompere le regole, opporsi allo status quo
Vieni seguito se hai qualcosa da dire, qualcosa di diverso da dire. Se vuoi cambiamento, devi rompere le regole. - Essere autorevoli ma non dispotici
E’ finita l’era dei capi, dei supereroi, delle star. Sii la persona più meritevole, più generosa, più competente. Non la più temibile. - Perseguire uno scopo diverso dal fatturato
- Guidare una tribu
Gestire la comunità agevolando le relazioni all’interno della comunità, senza che passino necessariamente per te. - Far emergere il lavoro degli altri
Non è leader chi prende tutto lo spazio, ma chi permette agli altri di esprimere il proprio potenziale e mettersi a sua volta a servizio della comunità
Ne parliamo in dettaglio nel nostro modulo di approfondimento sulla leadership.
Un’azienda è il suo staff
Per mia esperienza, il problema principale dell’imprenditore è l’autoindulgenza.
Anche quando pensiamo di essere molto esigenti con noi stessi, dobbiamo sapere che stiamo accuratamente schivando i nostri punti deboli.
Il costo – alto – di questa tendenza lo paga interamente la nostra azienda.
Nella maggior parte dei casi, sotto forma di problemi nel rapporto con lo staff.
Molti degli imprenditori con cui ho parlato, arrivano a considerare i propri dipendenti come appartenenti ad una classe inferiore, ne parlano come di persone maldiposte, pigre, che non hanno capito cosa vuol dire lavorare, persone da cui difendersi e proteggere il proprio operato (perchè sempre pronte a rubare – un’idea, soldi, contatti).
Ho chiesto a Gianluca Di Tillio (Social Wine), partner di Bloomywild, imprenditore con 25 anni di ristorazione alle spalle, che è arrivato ad avere una cinquantina di dipendenti, quali sono i fattori principali da considerare nella gestione dello staff.
I suoi consigli al titolare di un’attività sono:
- Chi lavora con te è piu importante di te
- Sono i tuoi collaboratori che devono produrre il reddito, non tu
- Il pesce puzza sempre dalla testa:
se qualcosa non va, la responsabilità è sempre tua, in quanto titolare dell’attività - Il cliente percepisce se non c’è armonia nello staff,
per quanto lo si voglia nascondere - Accoglienza prima di tutto:
offrire ristoro, calore, è un fatto umano prima che strategico
Staff come portatore di valore
E’ importante considerare lo staff non come una risorsa da sfruttare per i propri fini, ma come parte integrante del progetto.
E non perchè alla fine risulterebbe in una maggiore produttività, ma perchè il team è il brand.
Riporto i dati che dovrebbero indicarci precisamente la strada da seguire (si tratta della mia traduzione di un testo di cui purtroppo non ricordo più la fonte!):
“I consumatori […] premiano l’autenticità, la forte leadership e la franchezza.
Questi tratti devono ricadere a cascata dai vertici dell’organizzazione all’intero c-suite e attraverso la forza lavoro.
La nostra ricerca ha rilevato che
il 65% dei consumatori è influenzato ad acquistare un marchio, un prodotto o un servizio
dalle parole, azioni, valori e convinzioni dei dipendenti di un’azienda, non solo dal CEO o dal portavoce del marketing.
Per creare un senso di appartenenza al marchio,
è fondamentale che i leader rendano le posizioni del marchio dell’azienda chiare
per i dipendenti e autentiche per la cultura dell’organizzazione.”
In ogni caso la sostenibilità umana all’interno di un’attività è fondamentale e occorre partire da qui.
Ripensare la struttura e i ruoli
Per la quasi totalità delle piccole imprese, assumere è un incubo: a livello fiscale non c’è paragone con avere collaboratori a partita iva (liberi di fare altre attività, ovviamente. Qui non si parla di escamotage per ingannare il fisco).
Inoltre, il mondo del lavoro sta cambiando e la struttura piramidale verticale, che prevede un capo con sotto dei dipendenti, sarà obsoleta.
Nella struttura orizzontale che sta prendendo sempre più piede, sono tutti collaboratori.
Le informazioni viaggiano orizzontalmente, senza attenersi a delle gerarchie o a burocrazia inutile.
Il lavoro non si gestisce secondo ruoli, ma secondo progetti, e i capi-coordinatori cambiano a seconda del progetto e delle competenze: ogni volta è titolare/responsabile una persona diversa più affine a quel progetto (per esigenze del brand, cliente, progetto).
Di una diversa struttura si parlava già ai tempi di Adriano Olivetti.
“In un’azienda che è la prima ad applicare sistematicamente i metodi provenienti d’oltreoceano
per la selezione del personale e la razionalizzazione della gestione,
non esisterà mai un vero organigramma.
«Adriano» spiega Luciano Gallino «li considerava dannosi perché ingabbiavano le persone.
È una ricetta folle rispetto alle teorie di organizzazione del lavoro,
ma che a quel momento, a quella scala di grandezza, e con lui a coordinare, si è rivelata efficace.
Perché le persone scelte si inventavano il ruolo, e ingegneri, filosofi, poeti,
altra gente con formazione inusuale riuscivano a integrarsi e lavorare a uno stesso fine».“
“Adriano lascia ai suoi collaboratori un’ampia autonomia,
sulla base di quel rapporto più che fiduciario, appoggiato su una prospettiva, su un obiettivo comune.
Però diventa inflessibile quando vede insidiata, a torto o a ragione, la sua autorità
– l’ha dimostrato al rientro dalla Svizzera nel 1945 –
o ritiene che una persona sia incapace di cogliere il nuovo ciclo in cui l’azienda sta entrando.”
da “Adriano Olivetti. la biografia” di Valerio Ochetto
Questo pensiero è sempre più attuale, anzi definisce il futuro.
“Oggi i professionisti più giovani e connessi gestiscono da soli il proprio lavoro:
per questo le aziende devono riuscire a intercettarli in un modo nuovo,
non più proponendo i classici modelli di assunzione full-time,
ma attraverso reti ed ecosistemi aperti, collaborativi, trasparenti e accelerati dalla tecnologia.
Le nuove organizzazioni si aspettano velocità, scalabilità e la capacità di accedere alle giuste skill on-demand.”
“A livello di impatto sociale, il cambiamento del lavoro necessita di uno shift culturale
che deve interessare persone, aziende, organizzazioni ed enti.
Le istituzioni avranno un ruolo fondamentale sia nell’educazione
– per aiutarci ad apprendere velocemente e a costi accessibili nuove abilità ed essere pronti al nuovo mondo del lavoro
– sia nel dibattito che riguarda la disuguaglianza del reddito.
Se aumentano tipologie di lavoro che non prevedono benefit, riposo, straordinari e rimborsi
si dovranno trovare altre forme di tutela della nuova classe di lavoratori.”
Matteo Roversi in “Login”
Secondo Massimo Temporelli, il futuro è dei Fablab: “filosofi, ingegneri e quante più professionalità, a progettare tutte insieme, scambiarsi idee e posizioni, niente più catena di montaggio e posizione stagne“.
Leader è chi guiderà la comunità verso una nuova forma di lavoro.
“Chi ha lavorato in team lo sa:
il clima non nasce da solo.
E’ frutto di un lavoro invisibile, ma decisivo.
Non crea file, ma li rende apribili senza paura.
Non produce numeri, ma ne evita di peggiori.
Non chiude task, ma tiene aperti i legami.”
“I KPI relazionali conteranno: fiducia, ascolto, qualità della comunicazione.
I “ruoli ponte” saranno riconosciuti come strategici.
La leadership sarà di chi sa creare contesti umani, stabili, non perfetti, ma affidabili.
Collaborare sarà meno fare insieme e più restare insieme mentre tutto cambia.”
Sebastiano Zanolli
BloomyWild si inserisce in questo solco, sia nella propria struttura orizzontale, come descritta poco fa, sia perchè si pone come obiettivo di supportare i diversi professionisti nella creazione del proprio brand e nella condivisione di valore all’interno di reti virtuose e impattanti sulla nostra società.
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