Ora che il marketing è dappertutto, si sente spesso parlare di target anche tra i non addetti al settore, ma viene erroneamente associato al cliente, generando equivoci e pregiudizi, per cui penso sia uno dei punti fondamentali da chiarire per poter lavorare bene.
Il target non è il cliente reale
Quando spiego ai miei clienti che il target deve essere uno solo, mi capita spesso di riscontrare in loro il timore di dover scegliere un solo tipo di cliente e quindi di conseguenza di poter perdere acquirenti.
In realtà il target non è il cliente, non è una persona. Il target è una convenzione per poter focalizzare gli sforzi della tua comunicazione su una sola tipologia di destinatario, perchè non è possibile parlare contemporaneamente a più pubblici e quindi si sceglie di puntare sul profilo di cliente che più probabilmente porterà risultati.
“L’insegnamento più importante che posso condividere
sul brand marketing è questo:
inequivocabilmente, certamente e sicuramente
non disponete di abbastanza tempo e denaro
per costruire un brand per tutti.
Non potete farlo. Non provateci.
Siate specifici. Siate molto specifici.”
Seth Godin
Non si può parlare a più pubblici (senza avere il budget di Coca Cola) perchè un messaggio che parla a tutti non parla a nessuno: con un messaggio generico che va bene per più tipologie di persone, nessuno in particolare si sentirà preso in considerazione o chiamato in causa, non riscuoterai il suo interesse, per cui non sentirà la necessità di rispondere alla tua sollecitazione.
“In questo caso, le aziende spesso sono bulimiche:
hanno paura di non raggiungere tutti e, quindi, chiedono all’agenzia di parlare a tutti.
L’impressione è che si abbia paura di scegliere.
Voler parlare a pubblici molto diversi rischia di ridurre l’efficacia della campagna di comunicazione:
si dovrà usare un lessico che, per piacere a tutti, non sarà memorabile per nessuno.
Avere un solo destinatario, espresso e condiviso chiaramente, aiuta a immaginare una campagna che funzioni.
Per esempio, se dobbiamo parlare con la zia Peppina di anni sessantacinque,
debole di cuore, probabilmente la troveremo su Facebook e la creatività non dovrà spaventarla.
Se, al contrario, dovremo raggiungere il nipote Gigetto, incallito giocatore di Fortnite,
scelte di tono e piattaforme potrebbero essere opposte.”
Alessandro Minnno
“Se diamo troppe motivazioni per sceglierci, almeno in un primo momento/fase del funnel,
non saremo davvero convincenti per niente/nessuno,
anche perché noi in primis non siamo davvero sicuri (o diamo l’impressione di non essere davvero sicuri)
di fornire il servizio giusto per quel segmento target.
Nelle mie slide va sempre forte quella con il tizio che dorme su di un letto composto di chiodi.
Significa che tanti chiodi, affiancati, non pungono nessuno. Neanche nel marketing.
E’ l’applicazione che è complicata, ovviamente.
Perché nella foga di «ogni opportunità lasciata è persa» ci dimentichiamo in fretta della teoria.”
Gianluca Diegoli
Le persone reali che poi acquistano da te potrebbero anche non essere in target (anzi, se hai appena iniziato a fare marketing per il tuo progetto, è mooolto probabile che non siano in target), non li devi cacciare, ma investire su di loro sarebbe uno spreco di risorse.
Il target non è il tuo pubblico
E’ poi importante non confondere target, pubblico, follower, clienti:
- i follower sono un pubblico potenziale, che non garantisce di leggere i tuoi contenuti, di interagire con il tuo profilo, né tantomeno di acquistare da te, di fatto rappresentano più una vanity metric che un cliente
- il pubblico è composto da persone che ti ascoltano e ti leggono e non è detto che acquistino.
- il target è il profilo del cliente ideale che ha bisogno di ciò che vendi ed è pronto ad acquistare
- i clienti sono persone reali che acquistano, ciò che realmente serve alla tua attività per prosperare
Se confondiamo il pubblico con il target, il rischio è di creare contenuti cercando consenso globale, invece di puntare alle persone che in concreto possono acquistare i servizi. Il pubblico non ti paga, ottenere consenso e far funzionare il proprio business sono due cose diverse.
Il target non è ampio
Nel mercato attuale, saturo com’è, non è più possibile pensare di rivolgersi ad una platea enorme e pescare nel mucchio qualcuno interessato. Occorre concentrare sforzi e risorse su un gruppo di persone decisamente motivate ad acquistare ciò che offri tu.
Per questo motivo oggi si parla di rivolgersi alle nicchie, gruppi di persone con caratteristiche e interessi molto specifici che offrono una più alta probabilità di vendita, in quanto ti permettono di soddisfare in maniera altrettanto specifica i loro bisogni.
Seth Godin dice che non esiste nicchia troppo piccola se la gente è sufficientemente interessata.
Il target non sei tu
Un altro errore in cui mi imbatto spesso e che rischi di compiere è immedesimarti nel tuo cliente e pensare che il tuo target sia simile a te.
Il tuo target non è uguale a te, se fosse come te sarebbe giunto alle tue stesse soluzioni e non avrebbe bisogno di ciò che hai da offrirgli.
Non pensare al tuo target come se fosse uguale a te, perchè rischi di:
- dare troppe cose per scontate
- proporre cose che soddisfano i tuoi gusti e non i loro
- rimanere deluso, perchè proietti sul target cose che non gli appartengono e non ottieni le risposte che ti aspetti
Il target non è insopportabile
Quando arriva il momento di definire il target, si delinea il profilo del cliente ideale: quello con cui vorresti lavorare, che è contento di accogliere ciò che gli offri, che non va continuamente convinto, con cui è facile fare il tuo lavoro.
Forse anche un po’ per difesa, spesso si tende a denigrare e considerare il cliente un nemico, incontentabile, incomprensibile, “un osso duro”, “una palla al piede”.
E’ un atteggiamento ingiusto, controproducente e in fin dei conti sbagliato (post in cui prendi in giro le richieste dei clienti, parlo con te).
“Primo Levi, nel suo bellissimo libro La chiave a stella del 1978, aveva fatto dire a Faussone
«Ci sono solo i folli che credono che un cliente merlo è meglio, perché così fai quello che vuoi:
è tutto il contrario, un cliente merlo non fa che darti grane.
Non ha l’attrezzaggio, non ha le scorte, al primo guaio gli saltano i nervi
e vuole impugnare il contratto, e quando invece le cose vanno bene te la conta lunga e ti fa perdere tempo».”
Chiara Mauri
“Il cliente ha sempre ragione” è una massima obsoleta, ma in questa momento storico in cui vince la personalizzazione estrema dei servizi ed il cliente è spesso più preparato del professionista, può essere un’opportunità ascoltarlo e prendere spunto per migliorarsi, quindi è bene scegliere dei clienti di cui hai stima, che creino con te un circolo virtuoso. Di fatto oggi il cliente è più un collaboratore del brand che un semplice ricevitore di servizi e avere i clienti migliori sulla piazza potrebbe fare la differenza.
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